La conferenza stampa di presentazione del suo prossimo concerto diventa l’occasione per una chiacchierata a tu per tu con Mauro Ermanno Giovanardi. Joe, come è conosciuto negli ambienti musicali underground, ci racconta del passato con i La Crus, della sua visione del sistema musicale attuale passando per un’anticipazione del suo prossimo lavoro: un album di inediti intitolato “Il mio stile” di prossima uscita.
Cosa è rimasto dell’esperienza dei La Crus?
I La Crus sono un progetto nato nel ’92, e nei 18 anni di vita trascorsi insieme sono cambiate un sacco di cose.
Ho imparato questo mestiere, sono diventato un uomo. Sono stati 18 in cui sono cresciuto e maturato. E’ stata un’esperienza bellissima che a un certo punto abbiamo saputo gestire malissimo. Perché comunque dopo tanti anni che stai insieme necessariamente tante cose cambiano, cambiano i gusti musicali, cambia l’approccio. Maturi, devi fare delle scelte. E la vera sfortuna dei La Crus è che siamo stati sempre fondamentalmente un duo; Alex era parte dei La Crus ma era poco presente. In studio, alle conferenze stampa, ai concerti eravamo sempre solo io e Cesare.
Tra tutte le possibili formazioni il duo è quello che si logora prima. Per cui a un certo punto eravamo consapevoli di andare a 200 all’ora contro un muro, bendati. Diciamo che da Crocevia in poi tra me e Cesare le cose sono cambiate, io avrei voluto continuare a fare determinate cose e lui altre, si era un po’ smembrata l’idea originale dei La Crus. Per cui inevitabilmente, come spesso accade, la coppia è naufragata. I La Crus li ho sciolti io perché un grande amore non merita mediocrità, e per me i La Crus sono stati un grande amore. E’ stata un’esperienza bellissima, vissuta poi in un periodo musicale che è stata l’età dell’oro, soprattutto per un certo tipo di musica. Dal ’94 al 2000-2001 è stato un momento in cui la scena è esplosa, da pochissime persone che venivano ai concerti ci si è ritrovati ad averne migliaia.
E poi la fase successiva. Parlaci meglio di questa fase, cosa è successo a tuo avviso quando i la Crus hanno messo la parola fine alla loro esperienza musicale come gruppo? Ha inciso anche un cambiamento generale dei gusti del pubblico?
Secondo me è cambiato l’approccio del pubblico alla musica, non tanto il suo gusto. Io mi ricordo quando ero ragazzetto, 20-22 anni. Andavo in un negozio di dischi con 30mila lire in tasca. Stavo ore a scegliere 15 dischi, poi 10, poi 7, poi 5, fino a portarne a casa 2 o 3. Quei 2-3 dischi che ti portavi a casa li consumavi, perché avevi fatto delle rinunce per averli.
Diciamo che internet è stata una cosa importante ma è stata allo stesso tempo una cosa che ha massacrato la musica. Perché non si vendono più dischi. Ricordo che intorno ai primi anni ’90, quando iniziavano ad esserci le prime connessioni veloci, andavo a casa di amici che avevano pigne di cd martirizzati: dai più importanti ai classici della musica. Ora non si scarica neppure più la musica perché occupa spazio sull’hard disc. E secondo me se non paghi per avere un bene, non gli dai il giusto valore.
E qual è il tuo rapporto con Spotify? Potrebbe essere un’evoluzione del sistema musicale che va incontro a artisti e pubblico?
La mia musica è ascoltabile su Spotify, ma di certo questo sistema non va incontro ai musicisti. Ti può dare un po’ più visibilità perché sei presente. Ma se consideriamo che già Itunes fa percepire un guadagno nettamente inferiore a quello SIAE, con Spotify anche se ti scaricano un milione di pezzi la percentuale che ti danno è ridicola.
Il problema è che non si vendono più dischi, però gli studi di registrazione continuano a costare tanto. Noi siamo testimoni di un passaggio epocale. Se vuoi continuare a fare concerti, devi continuare a fare dischi. E se poi dopo tanti sacrifici il disco esce e tutti se lo sono già scaricato gratis, questo è un problema.
E’ un problema di fare dischi interessanti. Se hai un budget di 30-40mila euro per fare un disco, ti puoi permettere di avere un produttore, un arrangiamento di un certo tipo. Insomma ti puoi permettere di fare qualcosa di più di una serie di canzoni, qualcosa di interessante dal punto di vista artistico.
Se al posto di 30 mila euro ne hai 5-6mila, sei costretto a fare cose più semplici. Perché secondo te escono tanti dischi acustici in questo momento? Perché fare un disco acustico rispetto a quello con una band costa molto di meno.
E un artista come te come ha reagito a questo cambiamento che ha investito il sistema musicale? Una soluzione potrebbe essere quella di re-inventarsi, come tu hai fatto contaminando il tuo percorso con tanti generi, dalla letteratura al cinema passando per il teatro?
Sto cercando di capirlo anch’io. L’ultimo disco che ho appena finito di incidere mi è costato tantissimo. Credo che sia una delle cose più belle che ho fatto, non so se potrò permettermi di fare ancora cose così. Ci ho investito di mio anche. Non so se sia giusto farlo, oppure per quanto lo potrò fare ancora. Magari sono pessimista ma i tempi sono veramente critici; anche perché in un momento storico in cui c’è una crisi generale – che è sicuramente più importante di quella della musica – è logico che se si fa fatica ad arrivare alla terza settimana con lo stipendio (ammesso che uno lo abbia) le prime cose che si lascino perdere sono queste. Se posso scaricare gratis il nuovo disco di Joe me lo scarico, piuttosto che spendere 15 euro. Se posso andare a un concerto gratis lo faccio.
Ma se c’è stato, qual è l’errore commesso dalle case discografiche?
Ci sono stati diversi errori, e sicuramente quello più importante è stato fatto a cavallo del millennio: quanto uscì Napster per la precisione. All’epoca sarebbe bastato regolamentare in qualche modo il sistema. Le case discografiche hanno snobbato quello che stava succedendo, del resto hanno passato 40 anni e dettare legge, facendo spessissimo investimenti sbagliati. Però a cavallo del millennio giravano ancora tanti soldi. L’errore più grosso è stato quello delle major di snobbare questa nuova rivoluzione. Finché, quando si sono accorte che il virus poteva intaccare il corpo della musica, era troppo tardi. Ormai c’erano miliardi di files. Se si fosse regolamentato lì, se le major avessero capito che quello che stava succedendo era una cosa seria, senza pensare che riguardava un gruppo di “universitari sfigati”, se avessero capito tutto questo in tempo, avrebbero potuto avere un’opportunità diversa. Avrebbero dovuto dire “non pagare un dollaro e mezzo al pezzo, dammi 30-40 centesimi se vuoi continuare a scaricare la musica”. Tu da fruitore, al posto di spendere 15dollari per un Lp, ne avresti spesi 4 e mezzo. Poteva scattare un altro meccanismo, sarebbe stata un’opportunità. 30-40 centesimi al pezzo, in quel momento storico, avrebbe garantito a chi fa musica un investimento, una sorta di pensione da re-investire per continuare a fare dischi.
E ora siamo al punto che siamo andati completamente fuori controllo. Uno come Battiato, che vendeva 150mila-200mila copie a disco, oggi se ne vende 8-9mila è tanto.
Si è anche perso il gusto “feticista” di possedere l’oggetto-album? Colpa/ merito di Spotify probabilmente.
Sì, e anche i concerti costano tanto. Oggi te ne puoi permettere sempre meno. Uno, se va bene due al mese. Io mi ricordo ai tempi, quando si andava a suonare, un concerto costava 10mila lire. Poi nel cambio dell’euro un cd che costava 40mila lire è arrivato a costare 40 euro. Idem con i concerti.
Io mi ricordo benissimo di quando suonavo in uno dei club più importanti che abbiamo in Italia, il Fuori Orario. Era il 2003. Noi lì avevamo sempre fatto sold out con i La Crus. Chiacchierando con il proprietario, di cui sono molto amico, io ero un po’ in paranoia perché c’era molta meno gente. Sai, era il mio primo concerto da solo. E lui, Franchino, mi rassicura: “Non ti preoccupare, è così con tutti” mi diceva. Eppure il Fuori Orario è uno dei posti più importanti dell’Emilia, e uno dei posti più belli dove andare a suonare in Italia.
Ma cos’era successo? Il pubblico del Fuori Orario non si poteva più permettere di andarci con la solita frequenza due o tre volte la settimana. Era costretto a scegliere e limitare le serate.
Con Crocevia all’epoca avevamo fatto sold out, c’era stato da pochissimo il cambio dell’euro. La gente doveva ancora in qualche modo “assestarsi”.
Io ho vissuto il periodo in cui facevamo 5000 persone al Mazda Palace. Ho avvertito questa cosa che per la gente, man mano che si andava avanti, era sempre più difficile venire ai concerti, comprare i dischi. Era troppo più facile scaricarli. C’è stato prima il cambio dell’euro e poi una crisi pazzesca, la gente è rimasta spiazzata.
E chi si salva?
Chi ha fatto delle scelte giuste, ma alla fine l’hanno pagata un po’ tutti. La discografia con l’acqua alla gola ha preso al balzo la moda dei talent, che secondo me è stata la mazzata definitiva. Perché prendi delle scorciatoie incredibili a scapito della qualità.
Al di là di quello che è il lascito mortifero nelle generazioni più piccole: immagina chi ha 16-17 anni che vede da anni X Factor, ha interiorizzato che quello è “fare musica”. Pensa se Leonard Cohen, Nick Cave, Bob Dylan avessero dovuto fare i provini… Questa è una cosa orrenda perché poi da lì vengono solamente interpreti.
Tu immagina che io sia un discografico della Sony, la musica è con l’acqua alla gola e io devo fare fatturato. Ho sul tavolo un disco di un giovane autore che è bravo, il disco è molto bello; però so che per farlo conoscere ci metto tre anni, con molta fatica e molto investimento. E dall’altra ho 3 o 4 artisti provenienti dal mondo dei talent, che sono mesi che si fanno promozione da soli, tutti i giorni, visti da migliaia di ragazzini.
Io che devo fatturare e devo rientrare subito dei costi non posso fare altro che scegliere il prodotto dei talent. Magari poi mi porto a casa il lavoro dell’altro, oppure chiedo all’artista di scrivere dei pezzi per i giovani della tv. E poi si arriva al paradosso che oltre a non avere più la possibilità di fare le sue cose, l’artista bravo, pur di lavorare, è costretto a svendere i propri pezzi – magari i più belli – alla prima sgambettata di turno che dopo sei mesi l’hanno bruciata. Da 10 anni che esiste Amici, quanti ragazzi sono passati da lì? E quanti sono davvero emersi? Si possono contare su una mano. Se vieni dalla periferia, arrivi ad Amici, sei il reuccio del paese. Ma poi se non fai gavetta e non arrivi con qualche consapevolezza, ti bruci.
La cosa che non riescono a capire, soprattuto a questa età, è che una cosa così potente come la televisione, non può essere un fine, ma un mezzo. Se diventa un fine, tu sei disposto a fare qualsiasi cosa pur di stare lì dentro. A fare capriole, a fare la ruota mente canti, a cantare la qualunque.
L’illusione è che questa sia la cosa del momento. Secondo me è la mazzata finale che poteva succedere alla musica.
La cosa triste è che ci siamo piazzati davanti a una scatola, che sia la tv o il computer, e se non passi dalla tv non esisti. Puoi fare le cose più belle del mondo, ma non c’è più spazio lì dentro.
Quando mi chiedono un consiglio da dare a un giovane che inizia a fare questo lavoro, io in maniera un po’ ironica rispondo che gli consiglio di andare a smazzare davanti alle scuole. Avrà certamente un futuro molto migliore…
Un’anticipazione sull’ultimo album di inediti che hai appena finito di registrare?
Ci ho lavorato tantissimo. Era quasi già pronto prima che iniziassi a lavorare a Maledetto colui che è solo, il disco realizzato insieme al Sinfonico Honolulu.
Ma siccome sono canzoni molto importanti, belle, non volevo che uscisse male. Ho voluto capire bene con chi farlo, perché farlo e farlo come volevo io. Per cui l’ho messo in stand by e sono uscito con il Sinfonico, un disco che mi ha dato molte soddisfazioni. Nato come uno scherzo è diventato un disco di cui sono fierissimo.
Per cui ci lavoro da tanto, è un disco che sicuramente è figlio di “Ho sognato troppo l’altra notte”, ma con un approccio molto più naturale, è un disco più soul, più disincantato. C’è meno beat, è un’evoluzione naturale. Per darti un’esempio: lì per dare le coordinate precise del viaggio che stavo facendo ho recuperato due pezzi come Bang Bang e Se perdo anche te. Mi sono serviti per dare i connotati stilistici musicali precisi. Qui l’unico pezzo non inedito è un pezzo di Leo Ferrè, che si chiama Il tuo stile. E’ un pezzo con un’atmosfera più autorale, e infatti il mio disco si chiamerà “Il mio Stile”.
Sono molto contento, è un disco più fresco, abbiamo deciso di non usare gli archi ma una sezione fiati più massiccia ma sopratutto abbiamo lavorato con un quartetto soul, molto simile a un 4+4 di Nora Orlandi. Ci sono molte linee vocali che sostituiscono gli archi. E’ un po’ più fresco, meno imponente.
Ci saranno dei duetti?
No, l’album si chiama “il mio stile” e quindi canto solo io.
Il duetto che ti manca: qual è l’artista con cui vorresti interpretare un pezzo?
Mi piacerebbe scrivere un pezzo e cantare con Mina… Una cosina no?! Credo che abbia apprezzato Io confesso, è una tipologia di pezzo che lei potrebbe apprezzare. Non è una certezza, è una sensazione.